Castigo, la terza tappa in versi di Francesco Costa, ricalca il verso breve e verticale delle opere precedenti: facendolo protesi alchemica del suo verseggiare, Costa capta e trascrive la logica nefanda della realtà e del proprio cruccio personale. Niente che possa riportare ad alcuna scaramanzia violenta nel ripetere il registro precedente, bensì un appiglio indotto dalla maturazione per poter setacciare quanto ancora ritiene di dire.” (dalla prefazione all’opera di Mark Bedin)

Castigo è il cruento resoconto in versi di una battaglia, metaforicamente all’arma bianca, con l’idea di Dio, analogia di tutto quanto è altro e proiezione della nostra miseria esistenziale. È rabbia verso il Creatore, declinato nella più brutale accezione veterotestamentaria, e la sua opera funesta. È disperata preghiera, traduzione dell’abominevole bisogno di lanciare il dolore al di là di sé stessi e delle proprie frustrazioni, prostrazioni e prostituzioni di sorta. Soggettivamente, Castigo è la catarsi della tragedia personale che si consuma nel confronto con il silenzio di un Dio immagine del proprio fallimento; oggettivamente, a metà tra l’invettiva disperata e la supplica che lo è sempre altrettanto, è una riflessione poetica sul rapporto dell’uomo con la reificazione dei propri limiti, una teopoiesi negativa che vuole mettere sul tavolo la necessaria assurdità della fede e la sua assurda necessità.

Castigo è un’invocazione, una preghiera che chiede una parola, per quanto dura, del padre – una parola che metta tutti a tacere. Come ogni preghiera è semplice, vuole illudere ed instillare sollievo in chi la dice. Come ogni preghiera sincera è carica di vergogna, imbevuta di speranza, platealmente disattesa.

***

Ho chiamato

un Dio che parla

dando fuoco alle foreste secolari

ammazzando i figli altrui

un Dio geloso, che punisce

nei figli la colpa del padre

il Dio delle spiagge d’agosto

dei bambini annegati.

Mi ha risposto

un fiore di ciliegio

fuggito

per miracolo

al suo piede

al castigo.**

Della vita.

La volpe non biasima

la trappola, né il cacciatore

né sé stessa

ma macina bestemmie

mentre aspetta

ferita

qualcosa

che non sa.

**

Non c’è testamento che tenga

nel giorno grande e terribile

del Signore,

niente profeti

e anche i deserti

sono cemento

scaldato dal sole

non c’è sura taciuta

o preghiera cicatrizzata

o sacrificio, di greggi intere

non c’è pietà infine,

prima del castigo

non c’è pietà,

dopo il castigo

la pietà

del misero, per la miseria sua è il castigo.
**

Francesco Costa, originario di Belluno e laureato in Scienze Internazionali e Antropologia, vive e lavora a Venezia.

I suoi versi sono stati pubblicati da riviste letterarie e antologie, tra cui Poetry Factory, Il Visionario, L’Altrove, 210A, Atelier, LaboratoriPoesia, Asterorosso e Inno all’Infinito,
curato da Bruno Mohorovich (Bertoni, 2021). Scrive pezzi di prosa fantastica per il quotidiano Il cucchiaio nell’orecchio e le sue opere di fotografia e pittura sono raccolte sul sito thisminimalshit.com .

È autore delle raccolte di poesie Cipango (2020) e La foresta dei cedri (2022),
editi da Ensemble, e del fantasaggio satirico-filosofico Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022).

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